
BREVE INTERPETAZIONE ESTETICA DEL CAPOLUOGO LIGURE NELL’ULTIMO FILM DI SILVIO SOLDINI
Ogni opera d’arte è segno di qualcos’altro e quasi mai di se stessa.
Così Genova nell’ultimo lavoro del regista milanese Silvio Soldini, Giorni e Nuvole, con Margherita Buy ed Antonio Albanese: storia amarissima di un declassamento sociale, nelle sale in questi giorni.
L’operazione che Soldini compie, di fatto, nei confronti della città non è di sola ripresa in funzione di semplice cornice degli eventi: piuttosto, estrania Genova da ciò che ontologicamente costituisce (ovvero il dove “fisico” in cui abitiamo, lavoriamo, ecc…) e la rende un’estensione emotiva dei suoi personaggi, un’espressione della loro solitudine e della loro attesa, una proiezione di immagini mentali; racconta dunque le loro anime sospese con metafore di tipo estetico, servendosi di precise suggestioni urbane come termine di paragone. Non compone “cartoline”, bensì seleziona inquadrature, toni cromatici e scorci che si sposano con un mondo altro, quello interiore.
Diverse sono le scelte che a mio avviso esemplificano questo intento. Ora troviamo la luce livida del sole appena tramontato su panorami anonimi ed alienanti: ci descrive quell’attimo mesto e sospeso che segue la consapevolezza di una notizia che atterrisce e disorienta. Ora ci sono i residui della vecchia industria che va da Sampierdarena a Cornigliano; logora, dismessa, ruggine e salsedine: ci viene descritto il senso di non appartenenza all’inedita e disarmante condizione dei protagonisti con qualcosa di anti-estetico e di straniante ma che non si può fingere di non vedere.
Ora c’è il garbuglio delle vecchie palazzine del centro storico ammucchiate l’una sull’altra; è un’immagine colma di horror vacui dotata di un soggetto assai poco a misura d’uomo: comunica la piccolezza umana nei confronti dei problemi della vita, quel senso di timore che fa sentire minuscoli ed impotenti. Si tratta di immagini spesso accompagnate da lunghi silenzi: forse perché l’emotività umana è essenzialmente ineffabile; più probabilmente perché esse codificano già i sentimenti dei personaggi, sicché ogni parola aggiunta in quegli istanti sarebbe davvero superflua.
Le stesse nuvole che la fanno da padrona nell’inquadratura scelta per la locandina si stagliano poliedriche e cangianti sopra il porto che è controluce (perciò in ombra, perciò bidimensionale: manca l’intenzionalità di mostrare la città in sé) e la composizione fotografica suggerisce una dimensione di attesa, spaesamento, malinconia, ma anche di pazienza e di speranza.
Genova assume così un volto inconscio, inusitato; eppure vero, eppure bellissimo.
Laura Bonelli
2 commenti:
People should read this.
Grazie del tuo ermetico commento.
Un saluto
Lordtiranus
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